domenica 28 ottobre 2007

In partenza di un'amica. Bon Voyage!


Il mese di ottobre si sta per chiudere. Ancora poche ore e anche lui passerà nell'archivio della nostra vita, insieme ad altre decine e centinaia di mesi.
Era iniziato con una partenza, uguale a tante altre partenze ma allo stesso tempo assolutamente diversa. Uguale perchè portatrice di lacrime anche intime e di pensieri nostalgici, dovuti alla distanza e alla mancanza. Diversa perchè non per studio o svago, ma per lavoro. E' stata la prima volta che un amico e un'amica lasciavano la Sicilia e il paese per andare via, per andare a farsi una nuova vita lontano, a Milano, per un nuovo lavoro e per una nuova avventura.
Il mese sta per finire e la ruota torna a girare. La mano che la fa girare è la stessa. Un'amica. Il motivo è lo stesso. Il lavoro. La distanza cambia. Il Marocco.
Non so se mai leggerai queste parole ma voglio provare a dirtelo lo stesso.
Mi mancherai.
Lo so che sei stata via per più tempo magari e forse anche più lontano, ma era diverso lo sai. Prima era lo studio a portarti lontana ed entrambi sapevamo che lo studio per ognuno prima o poi finisce. C'è chi finisce prima, chi finisce dopo. Ma lo studio per ognuno finisce.
Stavolta è il lavoro. Lavoro. Si sta crescendo e crescendo forse si cambia. E se non cambiamo noi, cambia quello che ci circonda.
Ti aspetta una nuova avventura, una nuova meta da raggiungere e nuovi visi che dovrai far sorridere così come anni fa, 11 anni fa, hai trovato altri visi, tra cui il mio, che hai fatto sorridere. Porterai, dici, con te una traccia di me, di noi. Io conserverò qui una traccia di te, di noi.
In bocca al lupo amica mia e buon viaggio.
Sappi che dovunque tu sarai, dovunque io sarò, ci sarà sempre un sentimento che ci unisce e che, all'occorrenza, ci farà compagnia.
Ti voglio bene.

giovedì 25 ottobre 2007

Lì dove il mare luccica e tira forte il vento


Lì dove il mare luccica e tira forte il vento nascono sogni adolescenziali di amori infiniti e corrisposti, con cuore pieno di felicità e gioia, fatto di sorrisi e lacrime dolci come zucchero nella bevanda più amara, come cioccolato in una torta mal riuscita.
Lì dove le onde si infrangono negli scogli e i pescatori solcano il mare con le loro vecchie barche si perdono sguardi che mirano lontano, tra le nuvole spezzate da un monte e mescolate all’azzurro del mare mosso.
Gli occhi umidi vedono ciò che nella realtà non c’è, nascosto tra i prati pieni di fiori e immerso nel profumo di una primavera ancora non giunta.
Vedono persone allegre correre e rincorrersi, saltando liete e vibrare nell’aria come farfalle che giocano volando.
E’ un sogno che permette a vivere, che stride con la rudezza della realtà, fin troppo dura e cruda per un sognatore palpitante d’amore e allo stesso tempo povero d’amore, che cerca proprio l’amore dove l’unico amore che esiste, è il suo amore.
Amore, amore, amore. Lo grida, lo urla e lo sussurra. Lo scrive, lo canta e lo dipinge. Tutto per lui. Tutto per lei.

mercoledì 17 ottobre 2007

Oh, che sarà

Immagino una chitarra accarezzata con gentilezza, un pianoforte coccolato, una nuvola di fumo e delle luci soffuse. Tanti occhi sognanti e tanti sogni guardati da gente immersa nel pensiero, smarrita nell'aria mentre tende alla felicità.
Oh, che sarà, che sarà
che vanno sospirando nelle alcove
che vanno sussurrando in versi e strofe
che vanno combinando in fondo al buio
che gira nelle teste, nelle parole
che accende le candele nelle processioni
che va parlando forte nei portoni
e grida nei mercati che con certezza
sta nella natura nella bellezza
quel che non ha ragione
nè mai ce l'avrà
quel che non ha rimedio
nè mai ce l'avrà
quel che non ha misura.
Oh, che sarà, che sarà
che vive nell'idea di questi amanti
che cantano i poeti più deliranti
che giurano i profeti ubriacati
che sta sul cammino dei mutilati
e nella fantasia degli infelici
che sta nel dai-e-dai delle meretrici
nel piano derelitto dei banditi.
Oh, che sarà, che sarà
quel che non ha decenza
nè mai ce l'avrà
quel che non ha censura
nè mai ce l'avrà
quel che non ha ragione.
Ah che sarà, che sarà c
he tutti i loro avvisi non potranno evitare
che tutte le risate andranno a sfidare
che tutte le campane andranno a cantare
e tutti gli inni insieme a consacrare
e tutti i figli insieme a purificare
e i nostri destini ad incontrare
persino il Padreterno da così lontano
guardando quell'inferno dovrà benedire
quel che non ha governo
nè mai ce l'avrà
quel che non ha vergogna
nè mai ce l'avrà
quel che non ha giudizio.
-Ivano Fossati

lunedì 15 ottobre 2007

Strade


Fuori dalla finestra, al di là di quattro mura, è buio ed è il tempo giusto per aprire la serratura della mente e lasciare defluire lentamente il pensiero e la fantasia, come fossimo davanti ad una fontanella di paese, una colonnina di pietre e di alluminio dalla quale esce una stretta cascata d'acqua liscia e limpida.
Dallo stereo sta cantando la voce triste e malinconica di un famoso cantautore bolognese, troppo poco famoso per essere conosciuti da tanti e le sue parole e i suoi versi mi accarezzano in questa sera di riflessione.
"Lo sai che siamo tutti morti e non ce ne siamo neanche accorti".
Quante strade esistono nella vita, quanti percorsi che si intrecciano, si costeggiano e si dividono, allargandosi sempre di più, dirigendosi verso l'infinito, perdendosi all'orizzonte.
C'è la strada piena di buche e di crepe, su cui devo fare attenzione a camminare. Devo stare attento e vedere bene dove poggiare il piede. Devo scegliere bene dove poggiare il piede per evitare cadute e storte. Per evitare di farmi male.
C'è la strada ben asfaltata invece, tutta bella e luccicante, che sembra quasi nuova, come nastro da regalo. Lì non è necessario che io controlli il mio passo. Non è necessario che io cammini lentamente e preoccupato di cadere o scivolare. Per evitare di farmi male.
C'è la strada di campagna, sabbiosa e polverosa, come una nuvola quando si alza il vento, spazzando le polveri tutto intorno. Devo stare attento alle pietre sotto i piedi. Devo vedere bene fra l'erba sui lati per non ferirmi. Per evitare di farmi male.
C'è la strada piena di curve, larghe come le scie di grandi navi, chiuse come quelle degli sci sulla neve. E c'è la strada sempre dritta, povera di curve e quindi priva di diversi punti di vista. Sempre la stessa visione davanti gli occhi. Una riga dritta che si smarrisce all'orizzonte, in un punto.
Tante sono le strade della vita e non so quale percorrere. Non so dove andare.
Posso restare seduto sul marciapiede o su un sasso ai bordi e vedere il sole alzarsi e calare per lasciar posto alla luna, dormire sotto la luce delle stelle e lavarmi sotto la freschezza della pioggia.
O posso iniziare a camminare, un passo dopo l'altro, sempre in avanti, sempre con gli occhi ben aperti, scrutando tutto quello che mi circonda, ascoltando tutto quello che mi segue e che mi precede.
Posso non conoscere la meta, come di certo non la conosco. Ma che bellezza la scoperta durante il cammino!

martedì 9 ottobre 2007

Hasta la victoria siempre, Comandante!


40 anni fa veniva ucciso, secondo alcuni giustiziato, Ernesto Rafael Guevara De La Serna, medico, sognatore e combattente a mio parere.
In suo ricordo, ho deciso di postare questo articolo.

Ernesto Rafael Guevara De la Serna più noto come Che Guevara è stato un rivoluzionario argentino.
Il soprannome di "Che", o per esteso "Che Guevara", gli venne attribuito dai suoi compagni di lotta cubani in Messico, e deriva dal fatto che Guevara, come tutti gli argentini, pronunciava spesso l'allocuzione "che". La parola deriva dalla lingua Mapuche e significa "uomo", "persona", e venne ripresa nello spagnolo parlato in Argentina e Uruguay, per chiamare l'attenzione di un interlocutore, o più in generale, come un'esclamazione simile a "hey". Curiosamente la parola spagnola "che" (che si pronuncia "ce") ha lo stesso significato della parola italiana "ciò", che si usa come intercalare sia in Veneto che in Romagna.
Era primo di cinque fratelli (tre maschi e due femmine).
In famiglia, benestante e politicamente di sinistra, già da bambino il futuro Che si fece notare per il dinamismo e le simpatie radicali.
Nonostante soffrisse d'asma (male che costringerà i Guevara a trasferirsi a Còrdoba e che lo affliggerà tutta la vita), si dedicò allo sport, specialmente al rugby, con ottimi risultati.
Altra passione giovanile furono gli scacchi, gioco insegnatogli dal padre.
Durante l'adolescenza, si appassionò alla poesia, specialmente a quella di Pablo Neruda. Come molti sudamericani della sua estrazione sociale e culturale, nel corso degli anni Guevara scrisse diverse poesie. Era, del resto, un lettore vorace ed eclettico, con interessi che variavano dai classici dell'avventura di Jack London e Jules Verne ai saggi di Sigmund Freud ed ai trattati filosofici di Bertrand Russell. Nella tarda adolescenza si appassionò alla fotografia, passando molte ore a fotografare persone e luoghi. Anni dopo, avrebbe fotografato i siti archeologici visitati nei suoi viaggi. Studiò dal 1941 nel "Colegio Nacional Deán Funes" e, nel 1948, si iscrisse all'Università di Buenos Aires per studiare medicina. Dopo diverse interruzioni, si laureò nel marzo 1953, ma - probabilmente - non concluse il tirocinio necessario per esercitare la professione medica.
Quando era ancora studente, Guevara passò molto tempo a viaggiare in America Latina. Nel 1951 un suo vecchio amico, Alberto Granado, un biochimico, suggerì a Guevara di prendere un anno di pausa dagli studi in medicina per intraprendere il viaggio attraverso il Sudamerica che per anni si erano proposti di fare. Guevara ed il ventinovenne Alberto partirono quindi dalla città di Alta Gracia a cavallo di una motocicletta Norton da 500 cc del 1939. Il mezzo si chiamava La Poderosa II. La loro idea era di passare qualche settimana nel lebbrosario di San Pablo, in Peru, sulle rive del Rio delle Amazzoni, a compiere attività di volontariato. Guevara raccontò questo viaggio nel diario "Latinoamericana" (Notas de viaje).
Dopo aver visto la povertà di massa e influenzato dalle letture sulle teorie marxiste, concluse che solo la rivoluzione avrebbe potuto risolvere le disuguaglianze sociali ed economiche dell'America Latina. I suoi viaggi gli fornirono anche l'idea di non vedere il Sudamerica come una somma di diverse nazioni, ma come un'unica entità, per la liberazione della quale era necessaria una strategia di respiro continentale. Cominciò ad immaginare la possibilità di una Ibero-America unita e senza confini, legata da una stessa cultura (mestizo), un'idea che assumerà notevole importanza nelle sue ultime attività rivoluzionarie. Ritornato in Argentina, completò gli studi il prima possibile, deciso a continuare i suoi viaggi nell'America del Sud e nell'America centrale.
Guevara combattè al fianco del popolo in Guatemala e successivamente in Messico.
Fu membro del Movimento del 26 di luglio e, dopo il successo della rivoluzione cubana, assunse un ruolo nel nuovo governo, secondo per importanza al solo Fidel Castro. Nella prima metà del 1959 (fra gennaio e giugno), fu il responsabile, il procuratore generale della fortezza militare di La Habana in cui vennero svolti i processi a carico dei militari del regime accusati di crimini di guerra, mentre rivestiva tale ruolo decise la condanna alla pena capitale tramite fucilazione di circa 55 prigionieri. Secondo Orlando Borrego, Guevara fece osservare tutte le regole processuali e fu accusato da alcuni di rallentare i processi per "esigere eccesso di elementi probatori". Secondo Tony Saunois, vennero condannati coloro che si erano resi responsabili di torture e assassinii durante la dittatura di Batista.
Dopo il 1965, lasciò Cuba per "esportare la rivoluzione", prima nell'ex Congo Belga (ora Repubblica Democratica del Congo), poi in Bolivia. L'8 ottobre 1967 venne ferito e catturato da un reparto anti-guerriglia dell'esercito boliviano, assistito da forze speciali statunitensi ossia agenti speciali della CIA a La Higuera, nella provincia di Vallegrande (dipartimento di Santa Cruz). Il giorno successivo venne ucciso nella scuola del villaggio. Il suo cadavere, dopo essere stato esposto al pubblico a Vallegrande, fu sepolto in un luogo segreto e ritrovato da una missione di antropologi forensi argentini e cubani, autorizzata dal governo boliviano di Sanchez de Lozada, nel 1997. Da allora i suoi resti si trovano nel Mausoleo di Santa Clara de Cuba.

Simbolo, a ragione o a torto, del Comunismo, Ernesto Guevara per me rappresenta il coraggio e la forza di inseguire un ideale di libertà e di indipendenza, dell'uomo e dei popoli, anche a costo di perdere la propria vita. Credeva in un'idea e l'ha inseguita fino alla fine. Pochi come lui sono stati capaci di gesta eroiche, di altri tempi. Per questo forse è entrato nel mito.

martedì 2 ottobre 2007

Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognarlo?


Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognarlo? Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo.
Questa è una frase che ripeteva spesso Rita Atria, ragazza di 17 anni che un giorno decise di saltare giù da un anonimo balcone di una casa di Roma. Cosa la spinse a gettarsi giù? Aver scoperto e non esser riuscita a sopportare che il proprio padre fosse un mafioso, uno di quegli uomini senza scrupoli né dignità, per cui la vita di un altro uomo vale quanto un alito di vento nel mezzo di un ciclone.
Ho sentito questa frase ripetuta varie volte tra sabato e domenica, quando nel mio paese, Santa Margherita di Belice, sono venuti persone (e non personaggi) dall’elevata caratura morale e civile.
E’ indescrivibile quello che ho provato sabato 29 settembre quando, tra le ombre della sera, ho visto avvicinarsi la figura di una donna piccolina e magra, coi capelli grigi e due occhi chiari brillanti. Era Rita Borsellino, sorella del giudice Paolo Borsellino, diventato purtroppo eroe di una terra, di una nazione che neanche se lo meritano ad oggi.
Persona speciale e forte Rita Borsellino, prima composta durante la visione del filmato “Lezioni sulla mafia”, fatte dal fratello Paolo nel 1989, e poi sopra un palcoscenico a rispondere alle domande dei ragazzi e degli adulti, sulla politica sempre più immischiata con la mafia, sulla parte onesta della popolazione che ogni giorno lotta e sgomita per sconfiggere quella sporcizia mafiosa che inquina i nostri paesaggi.
Mai una parola fuori luogo, mai un cenno di resa e di superficialità. Ha regalato a tutti i presenti, 3 ore di idee, di sogni, di speranze e di parole che hanno rafforzato tutti, dal più piccolo che l’ascoltava in silenzio al più grande che annuiva alle sue parole.
Era solo la prima serata di una manifestazione di Antimafia che avevo organizzato con fatica e sacrificio assieme a tanti miei amici ma già ero soddisfatto e soprattutto spaesato. Avevo sentito parlare con grande umanità di pochi magistrati corrotti e di tantissimi magistrati e uomini onesti che sognavano, come io sogno, una terra libera dalla mafia. Avevo sentito parlare di persone che consapevoli del rischio e della loro personale condanna a morte, continuavano però a lavorare e ad agire per permettere in un futuro a noi di camminare liberi e tranquilli per le strade del nostro paese.
Commovente e straziante è stato l’aver ascoltato le parole uscite dalla bocca di chi, sulla sua pelle, aveva provatoli dolore e l’isolamento che la mafia provoca.
Ho ascoltato assorto Margherita Asta che quando ancora aveva 10 anni, perse la madre e due fratelli rimasti uccisi per caso in un attentato mafioso contro il giudice Palermo. Si erano trovati nel posto sbagliato nell’ora sbagliata e hanno così perso la vita innocentemente. 3 vite cancellate e una stravolta per sempre.
Ho ascoltato scosso Michela Buscemi che inizialmente ha perso 2 fratelli uccisi dalla mafia perché uno aveva iniziato il contrabbando delle sigarette senza il permesso mafioso e il secondo perché stava cercando di scoprire chi avesse ucciso il primo. Costituitasi poi parte civile, Michela si vide allontanata dalla madre e dalle altre sorelle, chiuse il bar di proprietà, si trasferì in campagna e fu anche abbandonata dal marito. Non ultimo, quando ormai sfinita e disperata, decisa di abbandonare il processo, fu attaccata e derisa dal pubblico ministero, fu quasi insultata, salvo poi abbandonare il pubblico ministero stesso la causa.
Ho ascoltato silenzioso Antonella Borsellino, sorella di Paolo Borsellino, ragazzo ucciso dalla mafia perché non volle vendere la propria piccola impresa di calcestruzzi a Lucca Sicula, e figlia di Giuseppe Borsellino, ucciso dalla mafia perché insieme alle forze dell’ordine stava indagando sui mandanti e sugli esecutori dell’omicidio del figlio.
Ho guardato la madre di Antonella Borsellino, moglie e madre di Giuseppe e Paolo, piangere lacrime amare di disperazione nonostante siano già passati tantissimi anni.
Interessante è stato anche ascoltare come la mafia nel tempo abbia cambiato i propri interessi economici e come l’Antimafia si sia evoluta nella sua lotta.
Ho sentito parlare Umberto Santino, presidente del Centro Studi “Peppino Impastato”, Nadia Furnari, presidente dell’Associazione “Rita Atria”, Vito Lo Monaco, presidente del Centro Studi “Pio La Torre”, Chloè Tucciarelli, ragazza del Comitato AddioPizzo e il giornalista storico Riccardo Orioles, un giornalista che ha collaborato con Pippo Fava ai tempi del giornale “I Siciliani” e che convinto della sua libertà nel lavoro, preferisce vivere molto semplicemente e girare per parlare delle sue esperienze, anche se sofferente di salute, anche tra mille difficoltà.
Ho sentito così parlare di ragazzi della mia età e poco più che al grido: Un popolo intero che paga il pizzo è un popolo senza dignità”, combatte la piaga del racket.
Ho sentito parlare di associazioni che girano le scuole, le piazze, che promuovono iniziative per far capire a tutti, imprenditori, lavoratori, bambini, adulti, uomini e donnesche la mafia non è altro che un’immensa montagna di merda.
Infine, ho guardato decine di bambini che sotto un sole caldo, in una mattina di domenica, pedalavano con le loro bici per le strade del mio paese, gridando che la mafia fa schifo, che la mafia uccide tutti. Alla fine poi si sono anche riuniti in cerchio e, passandosi reciprocamente una zappa e un piccolo bidone con dell’acqua, hanno piantato in una piazza di paese, dedicata a Emanuela Loi, caduta accanto al giudice Borsellino, un piccolo cespuglio di Rosa Canina, pianta dai fiori profumati e soavi, ma dal tronco appuntito e spinoso. Come la nostra bella Sicilia.
Forse un mondo onesto non esisterà mai, ma chi ci impedisce di sognarlo?Forse se ognuno di noi prova a cambiare, forse ce la faremo.
Forse questa manifestazione è servita affinché qualcuno possa cambiare, prendendo insegnamento dalla forza di Rita Borsellino, dal dolore di Margherita Asta, Michela Buscemi e Antonella Borsellino, dalla saggezza di Riccardo Orioles, dal coraggio di Chloè Tucciarelli, Nadia Furnari, Vito Lo Monaco e Umberto Santino, dalla spensieratezza dei bambini in bici e dalla onestà che forse, come direbbe Rita Atria, forse risiede in ognuno di noi.