domenica 29 giugno 2008

Una lettera per te


Tutto quello che scrivo, lo scrivo per te, tu che guardi adesso questa lettera dubbiosa e scettica.
Pensi a chi io mi possa riferire, sottovalutando il fatto che potresti essere proprio tu la fonte d'acqua dalla quale attingo oggi queste parole. Che male ci sarebbe?
La mia unica colpa è quella di non avere colpe.
Per questo, oggi mi sono seduto sulla solita sedia ormai rotta e ho guardato fuori dalla finestra che interrompe il bianco della parete. Ho visto fuori un caldo sole possente splendere e risplendere tra l'azzurro del cielo e il bianco fumoso delle nuvole. Ho visto il verde del mio giardino, fatto di erbe e di piante fresche nonostante il caldo che infuoca fuori. Ho visto poi il bianco dei fiori e anche il rosso delle rose che sul cancello si arrampicano e si lasciano spogliare dal vento.
Mi sono fermato lì a guardare la natura e ho pensato alle bellezze che ho avuto la fortuna e l'onore di riuscire ad ammirare, a volte da lontano con gli occhi, altre volte da vicino con le mani.
Ho pensato ai mille tramonti che ho visto annegare nel mare, ai milioni di lumini stellari che ho visto brillare nei cieli notturni d'estate, alle lune piene e anche a quelle vuote che mi hanno seguito nelle notti dei miei erranti viaggi.
Ho pensato ai fiori profumati che ogni anno si sono succeduti nel mio giardino, al Colosseo e alla Statua della Libertà che ho potuto toccare nei miei passati giri del mondo.
Ho pensato alle migliaia di coppie d'occhi fin qui incrociati e agli infiniti sorrisi luminosi conosciuti. Ma il più bello tra quelli belli rimane il tuo. Così perfetto e malizioso, segreto per tanti e al tempo stesso saputo, come il capolavoro che ognuno tiene nella testa, fatto di purezza, rarità e armonia.
Che dire poi dei tuoi occhi? Per loro potrei spendere catene di parole senza fine, parlando della loro profondità, della loro cattiveria, della loro forza attrattiva, del loro colore cristallino e pulito, del loro taglio perfettamente geometrico, senza nessuna sbavatura e senza nessun contorno strano e banale.
I tuoi occhi sono quello di più bello che ho mai visto, ciò che in natura esiste di più speciale e ideale. Le tue mani sono quello di più bello che ho mai visto e anche le tue guance. Pure i tuoi capelli e il mento. E poi le spalle, le gambe, i piedi e il corpo tutto. Fino ad arrivare a quella fossetta che si forma sulla tua fronte quando illumini il mondo sorridendo e regali a me attimi di emozioni forti.
Sei cioè la creatura più bella che ho mai visto.
Tu scettica dici che non ho poi visto così tante creature in vita mia. Si, forse è vero. E' di certo però che tu sei la creatura più bella tra quelle che io possa anche solo immaginare o sognare nei più dorati dei sogni. Sei perfetta nelle forme, nel cuore, nell'anima e nella mente.
Sei così perfetta che perfino la mia imperfezione accanto a te può essere scambiata per perfezione.
Mi guardi ancora scettica e ti domandi se è proprio a te che mi rivolgo.
Come esserne sicuri?
Ascolta il battito del tuo cuore e dimmi se lo senti anche di poco più accelerato al sol pensiero che potresti essere tu la destinataria di questa lettera.
E' accelerato?

venerdì 27 giugno 2008

Ferma! Guarda!


Ferma! Guarda!
Guardami gli occhi, rispecchiati sulle mie pupille e attraverso loro scrutami dentro l'anima. Vedrai quel che provo quando sto accanto a te. E' la stessa emozione che provo anche quando tu mi sei lontana chilometri indefiniti, mai così tanti però da impedire al mio pensiero di volare nell'aria, andare controvento se è necessario, e correre da te, per riscoprirti immersa nella vita normale di tutti i giorni, mentre dispensi sorrisi e battiti di ciglia a destra e a manca, generando contentezza e vitalità sui visi dell'altra gente. Nella mia anima vedrai l'amore che mi scorre dentro come un fiume pieno di rapide e correnti, cascate alte decine di metri e nascoste tra i vapori dell'acqua che precipita. Nella mia anima vedrai i graffi che le tue parole mi hanno lasciato, ancora vivi e sanguinanti. Se guarderai bene, mi vedrai ancora tremante per la paura che provo quando ti vedo. Benedetta paura che mi sprona a dire e fare quello che mai avrei pensato di riuscire a dire e fare. Mi dà il coraggio di guardarti e dirti: Ferma! Guarda!
Ferma! Guarda!Guarda le poesie che a te ho dedicato, le parole che ho cantato quando nella mente avevo fissa l'idea della tua bellezza non terrena e della tua fragilità tutta femminile e dolce.
Potessi tu guardarti con i miei occhi! Vedresti tutto ciò che è necessario ad un uomo per sentir di aver davvero vissuto, per sentirsi anche pronto per la morte, alla partenza per lasciarsi dietro tutto. Vedresti l'espressione più compiuta di bellezza naturale; vedresti una luce più calda e bianca di quella solare; vedresti un sogno che si realizza.
Ferma!So che queste sono parole che non hai mai sentito pronunciare, però se stai bene attenta, se rimani in silenzio e se ci provi, le sentirai anche tu. Le mie parole ti parleranno di sentimenti che forse non conosci, ti parleranno di sogni che ho sognato nella paura di vedere realizzati per non perderli; le mie parole ti parleranno di me, di te e forse di noi.
Tu ascoltale e non dire nulla. Ogni ulteriore parola sarebbe superflua. A noi basta il silenzio, dentro il quale ci illudiamo di poter vivere la favola che ci veniva letta quando eravamo bambini, la favola che immaginavamo tanti anni fa e che coloravamo col pensiero.
Il tempo sta per scadere e noi ci dissolveremo nell'aria. Se sarà l'unico modo per mischiare la mia anima alla tua, allora non vedo l'ora.

giovedì 26 giugno 2008

Odori e profumi


Questa sera sono uscito quando ormai la luna era in cima al cielo e le stelle le brillavano splendenti accanto; ero da solo per non pensare ad altra cosa che a te.
Mi sono fermato col pensiero proprio sotto le stelle e sono scomparso. Ho allontanato la mia anima, l'ho divisa dal mio corpo e sono volato sotto la tua finestra. Ho guardato le tende tirate e il buio tutto intorno e anche dentro. Ti ho immaginato nell'etereo mondo di Morfeo, stesa su un letto di petali di rose, in mezzo alle coperte di seta fresche e pulite come te. Ho pregato affinchè tu stessi vivendo un bellissimo sogno felice.
Chissà, forse davvero sognavi di vivere una favola, di essere la principessa di un regno sconosciuto ma non per questo meno felice di ciò che è conosciuto. Anzi, forse nel mistero e nella non conoscenza risiede la vera felicità delle cose.
Ho immaginato i tuoi capelli sparsi sul cuscino e sul tuo viso, davanti gli occhi e appoggiati sulle labbra. Ho immaginato il tuo respiro lento e dolce, cadenzato come una musica celeste, di arpe e di violini d'argento.
Stavo fermo ma diviso e pensavo alle tue parole.
Chissà se esse hanno lo stesso significato che hanno le mie. O se invece le tue sono parole più belle e pure perchè dette da te, che rendi bello e puro qualsiasi cosa tocchi o semplicemente sfiori.
Ricordo bene le tue parole. Il dolce suono che esse creavano quella sera quando per la prima volta ho avuto la fortuna, forse sfortunata, di ascoltarle e deliziarmene.
Me le ripeto spesso nella mente anche ora. Lo faccio quando ho bisogno che un raggio di luce illumini lo spazio davanti a me. Così ripeto le tue parole e se anche rinuncio alla musica, almeno ne ottengo la luce.
Questa sera sono uscito da solo per stare da solo con te e ci sono riuscito.
Stavo sotto le stelle quando all'improvviso si è alzato un piccolo soffio di vento che ha trasportato con sè una scia di profumo di orchidee e rose. In mezzo a quegli odori posso giurare di aver sentito anche il tuo.
Lo so cosa pensi. Non ricordi quando io odorai mai il tuo profumo. Non te lo ricordi perchè in effetti non è mai successo.
Ma negli odori di stasera c'era molta purezza e tu sei pura.

lunedì 16 giugno 2008

Chissà se...


Chissà se stanotte la Luna ha davanti i tuoi occhi la stessa bellezza che ha davanti i miei. Chissà se nella tua stanza da letto le stelle brillano come nella mia stanza. Chissà se la luce che dal cielo questa notte proviene illumina la tua figura pensierosa e sognante, poggiata sul davanzale della finestra, nell'attesa che una stella si decida a cadere per poter affidarle un desiderio da realizzare. Chissà se in uno di quei desideri che tieni appesi nel tuo cuore vivo anch'io. Chissà se anche un solo dei tuoi sospiri è dedicato a me. Chissà se le tue labbra sussurreranno mai alle mie orecchie le parole dolci d'amore che adesso stai pensando, mentre guardi la notte calare sul paese e dalle finestre delle altre casi noti spegnersi le prime luci delle camere.
La gente sta andando a dormire. Qualcuno è già tra le braccia di Morfeo. Qualche altro a breve ci sarà. Io invece mi ritrovo qui, col pensiero attratto da te, fuggito per te e da te ormai posato. Guardo la Luna dalla finestra, guardo le stelle brillare e mi sporgo ancora un pò dal balcone. Mi appoggio alla ringhiera e alla notte che mi circonda affido il mio desiderio: che queste parole ti possano arrivare, ovunque tu ti trovi adesso; chiunque tu sia, se la dolce ragazza che già conosco oppure la dolce ragazza che devo ancora conoscere.
A te, dedico questa canzone.



domenica 15 giugno 2008

Together we stand, divided we fall



Sai, ho messo sù una canzone che adori, che non ti stanchi mai di ascoltare perchè dici che tra quelle parole straniere, che spesso non capisci e fai finta di cantare, sei sicuro che si nasconde un messaggio per te, un messaggio che ad ogni ascolto cambia.
Per l'occasione ho anche tirato fuori quel vecchio giradischi che ci ha visti crescere e diventare quello che oggi siamo o proviamo a essere. L'ho pulito dalla polvere che col tempo si era posata su di lui e ora anche lui è pronto.
Senti? E' appena partita la canzone di cui ti parlavo.
Che mi dici? Ho fatto una buona scelta?
Vieni qui. Siedti. Prendi una sedia e parla un pò con me.
Da quanto non facciamo due chiacchiere io e te?
Non ricordo più nemmeno l'ultima volta che ci siamo guardati dritti negli occhi e abbiamo aperto il nostro cuore, raccontandoci tutto quello che ci succedeva, senza alcuna bugia o reticenza, senza nascondere nessun sentimento e nessuna delusione che provavamo.
Che tempi!
E' vero che tutto attorno a noi cambia alla velocità della luce. Ciò che sorgeva col sole, al suo tramonto magari non c'era già più o era mutato. Noi invece eravamo sempre gli stessi. Avevamo la stessa forma di sempre, lo stesso peso e ci legava sempre lo stesso amore.
Quante cose ci siamo detti incuranti del pericolo che uno dei due potesse rompere quel patto e rivelare il segreto fuori dal nostro mondo. Non stavamo mai in silenzio.
Mi son sbagliato. Ho detto una falsità e tu lo sai bene.
Silenzio tra di noi ce n'è stato, e parecchio pure. Solo che il silenzio tra di noi non è mai stato senza parole. Parlava pure lui e ci riferiva cose che solo in silenzio potevano essere comunicate e forse capite. Ogni parola pronunciata non sarebbe mai di sicuro riuscita a definire e a rappresentare tutto quello che il nostro cuore provava e sentiva. Ogni parola avrebbe messo catene e confini a ciò che in realtà è infinito. Infinito come il mare che so che ti piace tanto, come il cielo stellato che fino a ieri hai guardato con gli occhi tipici di un sognatore, sconfitto, deluso ma mai abbattuto. Infinito come l'amore che hai provato.
Ti verso un bicchiere di bourbon? Ho comprato quello che ti piace. Quello delle grandi occasioni. Vuoi anche del ghiaccio?
Questa è una grande occasione. E' un rito che si ripete nella sua tradizione e nel suo significato più profondo, che lega due anime in un cuore solo e le fa volare in alto, sopra gli occhi della gente. Così in alto da uscire fuori dello sguardo, superare l'orizzonte e diventare quasi invisibili ai loro occhi.
Brindo alla nostra.
Alla nostra amicizia su cui so di poter contare e su cui faccio ormai cieco affidamento. C'ho sempre creduto perchè non abbassavamo mai lo sguardo quando parlavamo e ci confessavamo i nostri sogni puerili e le nostre sconfitte adolescenziali. Non lo abbassiamo neanche ora che parliamo delle aspettative per il nostro futuro. Ci scrutiamo le anime con i nostri occhi e non nascondiamo nel buio neanche un alito di essa.
Hai paura di ciò che ci attende? Sai, io non ho paura. Sarà perchè quando sono con te non ho mai paura. Sarà perchè abbiamo affrontato sempre tutto insieme. Insieme siamo stati nella gioia di un pomeriggio estivo, nella piazza del paese, sotto il sole seduti su una panchina a gustare un gelato, e insieme siamo stati nella tristezza di un amore che non è decollato e che ha deciso di sbocciare e fiorire nel giardino di un altro. Magari fino a sfiorire.
Sarà per tutto questo ma il futuro non mi fa paura. Saremo sempre in due ad affrontarlo e insieme siamo una squadra. Insieme stiamo in piedi mentre divisi noi precipitiamo, così come cantavano i Pink Floyd.
Lo so che la mia citazione non ti stupisce. Coltiviamo insieme la passione per la bella musica, per quella musica anche datata che però riesce sempre ad insegnare qualcosa, a trasmettere un'emozione anche al millesimo ascolto che ne facciamo.
Su questa musica abbiamo ballato, ricordi? Abbiamo saltato, abbiamo cantato e abbiamo sognato. Ci siamo guardati in viso e ci siamo parlati.
Schiettamente come sempre facciamo. Con amore e rabbia. Ti conosco così bene che posso sempre dirti quello che pensi senza che tu proferisca parola. Mi basta guardarti. Come muovi gli occhi, come essi brillano, come muovi le mani, con quale intensità respiri. Sono sempre in grado di capire il tuo pensiero. Per questo non puoi mai mentirmi. Neanche adesso che bevi il nostro bourbon e rimani in silenzio, come se non ci sia nulla di cui parlare, come se tutto stia andando bene, come se nulla ti manchi.
Sappiamo entrambi che c'è qualcosa che ti manca. Tu te ne verrai fuori adesso col dire che non può mai mancare ciò che non si è mai avuto. Ma non mi freghi. La tua arte oratoria, la tua bravura coi giochi di parole non m'incanta e non mi distrae dall'argomento.
C'è qualcosa che ti manca. Lo so, lo sai e sai che io lo so.
Vuoi sapere quando la sua mancanza si vede?
Si vede quando esci e io ti guardo da lontano. Te ne stai lì a ridere e a scherzare con gli altri tuoi amici, ironizzi sempre su tutto e saluti tutti sempre con il sorriso sulle labbra.
Cosa c'è di male? Non c'è nulla di male.
Se non fosse però per il fatto che in quegli impercettibili secondi tra una risata e l'altra, tra un saluto e un sorriso, i tuoi occhi diventano scuri e miseri, smettendo di brillare. E' una questione di attimi, effimeri e rapidi come i profumi nelle giornate di vento, ma io li noto e li percepisco.
Smetti di brillare perchè con loro brilli di una luce artificiale che richiede di essere ricaricata. Per ricaricarla devi spegnerla e riaccenderla. Nell'attimo di buio ti guardo e capisco ciò che la tua mente pensa.
Ti manca vero?
E' una fortuna per chi riesce a trovarlo. La giornata ti diventa luminosa e calda, come una giornata d'agosto.
Però non accontentarti mai. Sei troppo importante per accontentarti di un sole di cartone. Meriti un sole incandescente, pieno di fuoco e di calore, fonte di luce bianca e infinita. Infinita come la bellezza della tua anima.
Cercalo sempre e non fermarti mai; neanche quando la ricerca si fa dura e sfiancante, quando sei costretto a salire ripide salite.
Non mollare neanche quando ti sembrerà di addentrarti in un cespuglio di spine e di foglie. Perchè lì troverai la tua rosa. Sarà una delle rose più belle che siano mai sbocciate.
Sarà rossa piena d'amore, profumata di purezza e fresca di felicità.
Sarà la rosa che porterai per sempre nel tuo cuore, anche se le sue spine saranno per te sempre una minaccia di dolore.
Sarà la rosa che per sempre profumerà la tua vita.
Vedi i miei occhi e sai che loro non posso mentire.
La canzone è quasi terminata.
Questa canzone che per te, per noi vuol dire tanto.
Ti ha lasciato nuovamente un messaggio diverso?
Usciamo fuori da questa stanza e ributtiamoci in mezzo al vento. Facciamoci da lui trasportare tra la gente.
Tanto non sei solo, lo sai.
Cangaceiro, tu hai me.

mercoledì 11 giugno 2008

Discorso


Da "La notte degli albatros" di Diego Cugia

Discorso.


"Siamo qui per un sogno: il sogno di poter tornare a sognare. Mi basta guardarvi per essere certo che nessuno potrà mai seppellire i nostri sogni. Siamo tutti soli, siamo tutti diversi, ma siamo tutti insieme e condividiamo molte speranze, molte paure, molti ideali. Alcatraz è una patria comune. Ho cercato questa patria comune facendo un viaggio dentro me stesso. Siamo Noi le nostre Alcatraz. Migliaia e migliaia di Alcatraz con tante celle con dentro migliaia di
“Io”. Ci sono Io Presentabili ed Io Impresentabili. Quando andiamo in giro per le strade, scegliamo quasi sempre d’indossare la nostra personalità più presentabile, l’Io da passeggio, o l’Io vestito da sera. Quello che ha maggiori possibilità di sopravvivere, forse perché è la nostra coscienza più mediocre, quella che dice sempre “Sì” o “Ni”, quella che abbassa gli occhi di fronte alle ingiustizie, alla corruzione, alla miseria e al dolore degli oppressi, dei diversi, dei deboli “perché non ti conviene; perché ti metti nei guai; perché va’ con chi vince; perché sta zitto e fregatene, in fondo non sono affari tuoi. Ma la stoffa di questo “Io” da passeggio poi ci soffoca, è una seta gelida, un’anima morta.
L’Italia è piena di questi sudari che camminano. Allora noi abbiamo cercato caldo all’inferno, perché siamo partiti alla ricerca di Jack, il “nostro” Jack: quello rinchiuso al buio in una gabbia così inaccessibile che nessuno lo potesse sentire, perché era stato “cattivo”, il più cattivo di tutti noi “Io”.

Jack quello che dice sempre No, l’insolente, il vagabondo, il sognatore, il ribelle, il rompiballe, la nostra personalità più impresentabile, quello che se non riesce a farsi amare si fa odiare, quello che “tu finirai male, figlio mio”; Jack l’ultimo della classe, il guastafeste, capace d’ingraziarsi i potenti e, quando è in cima ai loro favori, di sbeffeggiarli, ma nessuno lo potrà mai capire perché è un gioco a perdere, un calcio al Potere. Jack, la luna nera. Il condannato. …Ma anche l’uomo capace di sognare di essere un albatro e di volare verso un sole d’oro. Per questo, dovevamo dargli un microfono. E per questo, stasera, siete così in tanti.
Solo chi è stato profondamente al buio poteva immaginare una notte così bianca.
Dare il microfono all’Io che teniamo in prigione nel nostro braccio della morte, costituisce un rischio altissimo, per i vecchi noi stessi, per i compromessi che Jack ci farà esplodere dentro, e per la mediocre società, quella che o lo deride, o lo disprezza, o l’ignora; perché Jack è un italiano fuori posto, non etichettabile, quindi incontrollabile e capace di una rivoluzionaria tenerezza sociale.

Jack è pericoloso perché si fa continue domande, mentre per noi sono pericolosi quei giornalisti che non se le fanno più, e soprattutto quei governanti che non hanno mai dubbi. Siamo ricaduti nell’Italia che si fida dei punti esclamativi di un uomo solo. Jack preferisce continuare a fidarsi dei punti interrogativi di tutti.
Peppino Impastato aveva dato il microfono al suo Jack. Falcone e Borsellino l’avevano dato. Anche Che Guevara, soprattutto quando rinunciò agli onori politici di Cuba, per combattere un sogno d’altri. Da noi, un secolo prima, l’aveva già sognato e realizzato Garibaldi.
Era la stessa fede politica che univa personaggi così diversi? Forse Borsellino e Impastato votavano per lo stesso partito? No. Thomas Eliot, in un verso infinito di tre parole, si chiede: “Oserò turbare l’universo?” Il verbo che unisce questi uomini liberi è “osare”. Osare di turbare l’universo mafia …è un bell’osare. Soprattutto oggi.
Interessa? … Interessa? …(Lo sospettavo)
Jack Folla non è un black-block. Chi agisce violentemente in quel modo all’esterno è un'altra di quelle “personalità in vestito da sera”. Gli “Io” vestiti da sera non sono necessariamente griffati Valentino. Sono le divise di quei poliziotti che manganellano una ragazza con le mani al cielo,
o la tuta nera di un black-block che brucia un’automobile o una banca. Ma anche una camicia verde che impreca contro gli stranieri, accusandoli del delitto di non essersi integrati, un delitto che lui per primo ha commesso: non essendo riuscito neanche a integrarsi con se stesso.
Questa gente, di cui l’Europa si sta pericolosamente affollando, è straniera a se stessa, agisce esternamente quello che dovrebbe provocarsi internamente: incendiarsi le certezze assolute, manganellare e limare le sbarre della propria prigione per far evadere il loro extracomunitario Jack. Liberarsi. Ma loro, credendo di liberarsi, cacciano fuori sempre la persona sbagliata. Gli altri.
Anche l’Italia ormai è sempre più scissa, proprio come le nostre personalità; un Paese spaccato in due anche da un Presidente del Consiglio che promette di sognare per tutti ma che poi sogna solo se stesso. Ma così viaggia solo in superficie, “sulla cresta dell’onda”, e l’Italia di oggi è diventata la sua scia. La Repubblica di MastroLindo, come cantava profeticamente De Gregori.
A questa Italia delle apparenze, il Paese in cui la Pubblicità è Dio, la Religione i Soldi; …all’Italia delle Chiese dei Sondaggi, delle televisioni a pensiero unificato, dei Vip che applaudono i Vip, Jack Folla, dalla periferia di tutto, ha lanciato la sua piccola, grande sfida: comunicare in modo trasparente. Mettere in piazza, prima di denunciare quelli altrui, i propri orrori; mettere in dubbio, autoironicamente, le proprie presunte “verità”; non approfittare del seducente, tremendo potere di suggestione della radio e della TV; mettere in guardia chi ti ascolta anche da te che parli, non “fottere” il pubblico: e se proprio non resisti, cercare di farci l’amore.
La sfida era quella di non scindersi mai. C’era un famoso programma alla radio, tanti anni fa; un personaggio-mattatore si confrontava col pubblico; il titolo era “Voi e io”. Alcatraz ha aggiunto solo un accento: Voi E’ io. Ma come evitare, a questo punto, il rischio d’onnipotenza?
L’unico sistema che conosco (e consiglierei anche al potere politico attuale) è quello di sottoporsi al giudizio di una magistratura alla quale davvero non ci si dovrebbe sottrarre mai, non fosse altro per stile: e anche lei, la magistratura, siamo sempre noi. Così come noi siamo la libera informazione italiana. Noi siamo diritti e doveri. Privilegi e soprusi. Nord e Sud. Siamo
Bergamo e Messina. Siamo Gerusalemme ferita. Noi siamo l’ebreo e il palestinese. E siamo l’impotenza dell’Onu.
Siamo solo noi che proiettiamo il mondo che vediamo, scisso proprio come siamo scissi noi, -noi carnefici, noi vittime-, mentre invece continuiamo ad attribuirci solo la regia delle cose che ci piacciono e adisconoscere e a rinfacciarci la paternità dei film che non ci piacciono, ma quando questo lo fanno addirittura i ministri e i capi di Stato, allora è un vero guaio. Una tragedia che si chiama, per esempio, torri gemelle di Manhattan. L’esplosione di una scissione dell’Io collettivo del mondo. Perché se tu hai una doppia coscienza, e con la prima vendi armi batteriologiche, per esempio, all’Irak; non puoi gridare con la seconda coscienza al pericolo di una guerra batteriologica e attaccare l’Irak. Questo intendo per scissione dell’Io collettivo. La conseguenza, -l’esplosione del sintomo-, è Manhattan. E se anche questa tragedia la tratti come causa del male, allora intervieni “chirurgicamente” sull’Afganistan, ma non curi, al contrario, il malato mondo peggiora, perché continui a dividere il suo Io.
In questi tre anni di Alcatraz, avevo un desiderio: far evadere Jack.
Dapprima il Jack privato, perché chi scrive -come diceva Cesare Pavese- racconta quello che non ha; Quello che ha non lo racconta, se lo tiene. Ma poi non ho potuto tenermi più neanche quello che avevo. La mia famiglia, i miei ricordi, il nostro bisogno di essere amati, le vostre lettere, i nostri amori, le mie e le vostre malattie, e le nostre speranze di vivere in un Paese felice, tutto si è mescolato con tenerezza e rabbia in una sorta di Repubblica dei Liberi Stati Mentali; niente “è stato tenuto”, senza pudori, anche se con qualche imbarazzo, e il mio egoistico e un po’ narcisistico desiderio iniziale si è trasformato -dopo avervi conosciuti- in un altro: che voi riusciste a stringere, per una volta, la mano al vostro “Io” più impresentabile, che ricucissimo, tutti noi, una scissione, e ritrovassimo, qui e ora, in una notte come questa, una patria comune.
Guardatevi negli occhi, guardatevi intorno.
Vedete di cosa è capace il nostro “Io” più disperato, più solo, più abbandonato?
Prima parlavo del verbo “osare”, che amo molto.
Penso che noi siamo anche quello che siamo stati. Prima ancora che nascessimo intendo. Credo in una specie di reincarnazione all’incontrario.
Ho nostalgia del futuro perché ho il rispetto della memoria, e noi siamo anche i nostri antenati, i nostri morti. In questi anni mi avete chiesto in tanti “Ma come ti è saltato in mente un Jack Folla?” Mi perdonate un piccolo aneddoto privato? Spero di sì. Anche perché non ve lo racconto per stronza vanagloria. Sono la pecora rossa di una famiglia benemerita delle armi italiane. Ce l’ho un po’ su con Bossi perché quindici fra miei bisnonni, biszii e biscugini sono morti per il Risorgimento e l’Unità d’Italia. Quindici giovani che volevano un’Italia non scissa, ma una, libera e indipendente.

Jack Folla è anche nato dal gesto di uno di loro. Era mio bisnonno. Si chiamava Efisio, e fu l’unico generale che nella disfatta di Custoza continuava a avanzare, mentre l’altra mezza dozzina di generali di divisione -senza premurarsi di avvertirlo- si erano già ritirati. Alla Camera dissero che se tutti avessero combattuto come lui, Custoza non sarebbe stata un’onta per l’Italia. Lo fecero ministro della guerra. Ma non è questo l’osare che intendo. Anche questa, pur essendo Storia, è vanità. Io parlo di quel momento irripetibile della vita di ciascuno, in cui, con un piccolo gesto di rivoluzionaria follia, si spezza un vecchio e logoro schema, si rompe col passato e si apre al nuovo mondo.
Prima di “partorire” Jack, scoprii casualmente un aneddoto familiare all’Archivio di Stato. Il 2 Luglio 1871 il Re Vittorio Emanuele II entrò solennemente a Roma, diventata capitale. Immaginatevi il corteo, la pompa magna, le alte uniformi, la folla. Ma al Quirinale, l’Italia Unita trovò il portone sbarrato. Il Papa non era stato proprio felicissimo di cedere agli italiani casa sua, che poi, veramente, era la nostra. Così era fuggito. Ma era fuggito anche il cardinale che custodiva le chiavi, portandosi appresso, come sfida e ultimo gesto di disprezzo, tutto il mazzo. Il soldatino della guardia reale bussava, suonava, tentava di aprire. Tutto inutile. Il Quirinale era sbarrato. Il re d’Italia, incazzato, tossiva, gli ufficiali in alta uniforme arrossivano, tutto il cerimoniale andò in tilt. Nessuno sapeva che pesci pigliare. L’Italia veniva a prendersi Roma, ma la nobiltà nera di Roma aveva chiuso i portoni dei palazzi in segno di lutto per l’arrivo degli “italiani invasori” e i preti avevano gettato le chiavi del Palazzo dei Palazzi. Allora Efisio scese da cavallo, si piantò davanti al portone sbarrato, prese le misure, e senza tanti “se” e “ma” sferrò un calcione con gli stivali e sfondò la porta del Quirinale, che da quel momento divenne la casa di tutti gli italiani. Lo era già, per legge, però quel calcio ci voleva, quel calcio è la storia che si compie, è esattamente l’atto di chi “osa turbare l’universo”.
Volevo dire che, di generazione in generazione, non si tramandano nel sangue solo il diabete o l’anemia mediterranea, ma anche i calci. E allora, un secolo e mezzo dopo, o da quel gesto nasce Totti, (e io a calcio ero una schiappa) o dall’albero genealogico della fantasia, nasce un Jack Folla. Quello che conta, cioè, non è se hai avuto o non avuto un bisnonno “famoso”; il sangue che conta è solo quello che trasmette (non alla tua schiatta ma a tutti) la capacità di sognare. E per sognare intendo la capacità d’immaginare insieme un mondo diverso, un Paese migliore. Perché se quel film non ce l’hai già dentro, non potrai proiettarlo quindi “vederlo” mai. La seconda domanda alla quale volevo dare una risposta (non preoccupatevi, le domande sono solo tre) è il grido “Perché vuoi uccidere Jack? E perché proprio adesso che in lui ci siamo ritrovati? Jack non deve morire!” Non sarò certo io a seppellire il mio sogno più caro, che si chiama come un film, e come questa notte “Le ali della libertà”. Jack non può morire perché ormai è stato trasmesso nel DNA della fantasia, è già in circolo nel sangue dei vostri valori, anzi, lo era da sempre, semplicemente l’abbiamo ritrovato. Jack, stanotte, deve partire, è diverso. Se tornerà, quando, e in che cosa l’avrà trasformato il nostro sogno collettivo, questo non è dato saperlo né a voi né a me.
Ma se Jack parte stanotte, suppongo che qualcosa o qualcuno stia per arrivare domani. Uno scrittore non è altro che una stazione di confine. Tutte le storie sono in transito. Bisogna solo aspettare il treno giusto.
Ma so già che a molti di voi questa risposta non basterà; ed io stesso sono triste, stasera, perché dire “Hasta siempre, Jack” mi fa, come tutti gli abbandoni, anche una certa paura.
Jack, per tre anni, è stato il mio universo.
“Oserò turbare l’universo?”
Sì. Sì perché se Jack Folla è diventato il nostro nuovo universo, il nostro universo diventa la sua nuova prigione. Non dobbiamo permetterlo mai.
Jack è la nostra mente libera. Bisogna lasciarla volare. Lui è il nostro albatro viaggiatore.
Vi ricordate la poesia “Il viaggio” di Baudelaire?
“Noi partiamo un mattino con il cervello in fiamme, con il cuore gonfio di rancori e di desideri amari, e andiamo, cullando al ritmo delle onde il nostro infinito sul finito dei mari. Alcuni sono lieti di fuggire una patria infame, altri l’orrore della loro nascita, altri ancora –astrologhi sperduti negli occhi di una donna- la tirannica Circe dai pericolosi profumi…
Ma i veri viaggiatori sono soltanto quelli che partono per partire; cuori leggeri, simili agli aerostati, essi non si separano mai dalla loro fatalità, e senza sapere perché, dicono sempre “Andiamo”! I loro desideri hanno le forme delle nuvole.”
Questo è stato Jack. E non saremo certo noi quelli che mettono le nuvole in gabbia.
E adesso la terza e ultima risposta. Questa notte molti di voi verranno qui a raccontarci “se, e in che cosa, sono cambiati con Jack.” Credo di dovermi sottoporre anch’io a questa domanda. E’ un dovere, perché siete diventati voi i miei Jack, ed avete rivoluzionato la mia visione del mondo.
La mia è una risposta molto semplice. Ho sempre pensato di essere solo.
Stanotte, mi basta guardarvi, per capire, non soltanto di non esserlo più, ma di non esserlo stato mai."

D.C.

venerdì 6 giugno 2008

Ci sono cose che non esistono



Esistono cose che non accadranno mai, nonostante tutti gli sforzi che noi possiamo fare affinchè essere accadono.
Ci sono voli che noi non faremo mai, legati alle mani da una stretta inscindibile e forte, che niente potrebbe rompere, se solo esistesse. Ma non esiste. Non esiste quel volo che ho sempre sognato. Non esiste quell'aria che si infrange sui nostri visi vicini, quel vento che entra nei nostri capelli e quel sole che coi suoi raggi scaldava i nostri occhi.
Ci sono incontri che non sono mai avvenuti e che avrebbero potuto forse cambiare il corso naturale degli eventi, determinare quello stato di felicità che tutti noi ricerchiamo e che non riusciamo a trovare se non illudendoci e accontentandoci di una leggera parvenza di felicità che in realtà è abitudine.
Ci sono mani che non si sono mai stretti, occhi che non si sono mai guardati e cuori che non si sono mai sussurrati parole dolci d'amore, poesie leggere di sentimenti, che ad ogni suono corrispondeva una carezza sulla pelle e sul viso, un bacio dato a punta di labbra.
Ci sono baci che non sono mai stati scambaiti, che non sono mai stati mandati o regalati, ci sono promesse che non sono mai state sciolte, nodi che non sono mai stati sciolti.
Ci sono speranze infine che non sono mai morte, forse perchè mai nate o forse perchè non voglio essere io a sentenziare la loro morte. E' più bello sperare che un giorno lei arriverà, col suo sguardo intenso e minaccioso, con i suoi capelli lunghi e sottili, con le sue mani spoglie di anelli, con i suoi sogni da affidarmi e con lo spazio nel cuore per accogliere i miei di sogni.
Da qualche parte ci sei. Lo so. E se anche dico che la vita è fatta d'appuntamento mancanti e incontri mai avvenuti, io non cicredo. Perchè un appuntamento mi porterà da te prima o poi e un incontro ci attende.
Io ci sarò. A quell'ora. In quel posto. Con quel vestito, con quel sogno, quella speranza, quello sguardo. E ti vedrò arrivare con quel vestito, con quel sogno, quella speranza e quello sguardo.
Tutto il resto non sarà importante perchè tutto il resto non potrà mai essere felice quando saremo felici noi insieme, uniti, in un corpo solo, in un'anima soltanto.
Ci sono cose che non esisteranno mai. Ma noi non siamo tra queste.










Now that I've lost everything to you
You say you wanna start something new
And it's breakin' my heart you're leavin' ,
I'm grievin'
if you wanna leave, take good care
I hope you have a lot of nice things to wear
But then a lot of nice things turn bad out there
Oh, baby, baby, it's a wild world
It's hard to get by just upon a smile
Oh, baby, baby, it's a wild world
I'll always remember you like a child, girl
You know I've seen a lot of what the world can do
And it's breakin' my heart in two
Because I never wanna see you a sad girl
Don't be a bad girl
But if you wanna leave, take good care
I hope you make a lot of nice friends out there
just remember there's a lot of bad and beware
Baby, I love you
But if you wanna leave, take good care
I hope you make a lot of nice friends out there
But just remember there's a lot of bad and beware.

giovedì 5 giugno 2008

Tien An Men, 19 anni fa

19 anni fa, come oggi, un uomo fermava una lunga fila di carri armati, un uomo solo, senza armi se non con il proprio coraggio e il proprio sogno di libertà e di pace.
Grazie ad una segnalazione ho guardato il video che troverete alla fine di queste righe, che in sè non valgono nulla, però voglio pensare che siano utili per farci capire, per farci pensare e, in casi limiti, per farci sognare che ognuno di noi può essere un eroe, può essere quell'uomo, il Tank Man a oggi sconosciuto. Possiamo tutti essere capaci di fare qualcosa, anche un piccolo gesto quasi invisibile, per migliorare il mondo in cui viviamo. Se non il mondo, almeno il paese in cui abitiamo, le persone che vivono attorno a noi.
Che sia un grido di libertà, che sia un segno di ribellione, che sia solo un sorriso, anche io lo posso fare.
E tu?

martedì 3 giugno 2008

Un pensiero dopo l'altro


mare, infinito, volare, libertà, felicità, amore, donna, occhi, paura, insicurezza, fragilità, finitezza, difesa, fuga, lontananza, ricordo, sogno, realtà, solitudine, pensiero, idea, pazzia, follia, musica, ballare, cantare, urlare, lucidità, guardare, analizzare, capire, rinnegare, mentire, illusione, delusione, sconfitta, vittoria, gioia, amicizia, risate, piccole cose, grandi cose, sentimenti, speranze, morte, vita, nascita e crescita.