mercoledì 7 febbraio 2007

30 giorni di te... e di me


30 giorni sono passati dal nostro primo incontro e volevo solo ricordarlo a me e forse dirlo a te. Lo so che dico sempre di essere smemorato e credo che in fondo lo sono. Perché dimentico sempre di fare le cose che possano portarmi a vivere quel piccolo attimo di felicità che mi è stato riservato e che ancora non ho vissuto.
Perché tanto lo so. Anche per me è stato previsto un attimo di felicità.
Il sole era alto nel cielo quando ci siamo visti la prima volta, quando il tuo sguardo ha incrociato il mio sguardo e quando il mio sguardo è rimasto sconvolto dal tuo sguardo. Si pensava che quel giorno e quella settimana doveva essere fredda e piovosa e infine era iniziata con un sole caldo e luminoso, con la vista di due occhi lucenti come stelle, di un viso misterioso come una luna sul mare, di milioni di capelli sottili come ragnatela e ricci come lunghe catene di anelli. Era iniziata con la dolcezza dello zucchero, con la gioia di una canzone, con il divertimento di una risata. Camminammo tanto. Avanti e indietro per tante strade.
Prima andammo verso sud. A mangiare le melanzane amare e la pasta con il pomodoro. Poi ci dirigemmo verso nord con la scorta d’acqua. Dicono che un’esperienza bellissima, da fare almeno una volta nella vita, sia quella di giungere sino a Capo Nord, dove c’è la notte più lunga. 6 mesi di stelle e di luna. Ti immagini?
Io in quelle prime 5 ore che trascorsi con te vidi 1 stella che da quel giorno ha oscurato qualsiasi altra stella. E poi il gelato che non c’era. Mi dispiacque non trovarlo perché avrei legato quel gusto ad un giorno per me speciale. E pensare che i gelsi a me non piacciono.
Come ogni cosa nella vita, soprattutto le più belle, eravamo giunti alla fine e con gli occhi felicemente tristi ho visto partire un cappotto color ciclamino, un maglione a collo alto rosa e una borsetta marrone.
Potrei a questo punto ricordare tutti i giorni in cui ci siamo visti dopo, potrei anche ricordare i vestiti che avevi.
Potrei ricordare il maglione arancione del secondo incontro e il bomber verde, quando seduto su una panchina di un giardino, a occhi chiusi, mi misi a volare tra principesse e dragoni, dondolato da una voce che poco prima avevo già sentito cantare.
Oppure il maglione nero del pranzo del sabato quando le 17:40 diventarono 15:40 e mille dubbi e paranoie hanno assalito la mia mente, trasformando l’oro in ferro, la gioia in paura. Che poi in fondo la gioia è anche paura. Sappiamo che non può durare in eterno e nel momento stesso in cui viviamo una gioia, viviamo anche con un senso di paura che l’attimo che segue possa essere quello che ti ruba la gioia, che te la cancelli.
E che dire del fasciacollo verde della serata della pizza più buona che io abbia mangiato e della più costosa. E non mi riferisco agli euro che ho pagato, ma all’indipendenza a cui ho rinunciato quella sera. Con quel fasciacollo ho legato definitivamente i miei occhi alla tua bellezza e al tuo vivo sorriso.
Ti vedevo poi seduta in mezzo a due rose e pensavo che la rosa centrale fosse la più bella che avevo mai visto e odorato. E mi tremavano le gambe, le mani e le parole perché avevo paura di un tocco sbagliato, di una frase errata per rovinare quel bel giardino. Avevo paura di far volare anche un solo petalo di quella rosa, di far sfiorire il suo rispetto verso quel giardiniere così poco speciale, così poco bello, così poco bravo.
Non ci sono poi parole per il maglione blu della sera in cui sono andato alla “Ricerca della felicità”. Sono andato a cercarla fino a casa. “Se vuoi qualcosa, allora vai e inseguila” mi ha detto la Felicità. Io neanche tanta strada dovevo fare. La cosa che volevo si trovava seduta accanto a me, sentivo ogni tanto il tuo braccio sfiorare il mio.
Sentivo il tuo respiro accarezzare il mio spasimo. Non ho sentito il tuo sguardo posarsi su di me ma volevo illudermi che almeno la tua mente mi pensasse.
E infine l’epilogo della storia. La scena che nel più classico film d’amore preannuncia il lieto fine, preannuncia la felicità raggiunta. Due persone che tra il buio della sera, tra altre persone intente a vivere anche loro quel attimo di felicità che ognuno ha riservato nella vita, camminano in direzioni opposte e destinate ad incontrarsi.
Una lunga corsa prima per vederti, per incontrarti subito e stare più tempo con te. Una lunga passeggiata dopo per respirare della tua aria, per guardare della tua vista, per nutrirmi della tua dolcezza. E ogni passo che facevamo, era un passo in meno che condividevo con te. Perché la stazione si avvicinava e da lì saresti andata via, forse finalmente convinta della mia finitezza di fronte al tuo infinito.
Pregai, e forse non dovrei dirlo, che quell’autobus ritardasse ancora. Che ci fosse all’improvviso uno sciopero di almeno un paio d’ore. Mi sarebbe bastato anche un solo minuto in più.
Sapevo che quella sera ti avrei persa.
Sapevo che in fondo non ti ho mai avuta., che in realtà non sei mai stata mia.
Che lo eri stata solo nella mia fantasia quando dopo il primo incontro già mi ero ritrovato seduto a pensare a te e a scrivere su un foglio delle rime ridicole in confronto a quello che davvero tu racchiudi.
Non dovrei neanche dire questo ma mi è bastato un solo piccolo giorno, appena 5 ore e 25 minuti per capire che sei la felicità che cercavo, quella felicità che mi attende. E poi ho avuto tante altre ore, tantissimi altri minuti, milioni di altri attimi per cogliere quell’unico attimo di cui davvero mi importava. Avvicinarmi lentamente a te, sotto la luce della luna, vivere in un solo secondo 25 anni di vita forse triste, forse non vissuta, sentire tuonante il tremore delle gambe e lasciarmi andare in un bacio che ho sentito così forte che quasi quasi mi sono convinto che ci sia stato.
Un’illusione insomma. L’illusione di poterti piacere, l’illusione di riuscire a cogliere l’attimo di felicità, l’illusione di poterti trattenere a me.
Ma, purtroppo, non si può trattenere qualcosa che è destinata ad altri.
Ti ripeto che sono smemorato ma in fondo non ho mai mentito.
Mi ricordo, è vero, i tuoi vestiti, qualche nostro discorso. Ricordo i tuoi occhi brillanti, il tuo viso sorridente, la tua voce melodica.
Non ricordo mai invece di cercare di essere felice.
Ed è per questo che in fondo nasce questa lettera.
Perché mai forse avrò il coraggio di cercare davvero di essere felice.
Mi accontento di quello che sarebbe potuto essere se fossi stato diverso.
Diverso a tal punto di dirti, guardandoti in faccia, che sei speciale, come è speciale la prima melodia per chi non ha mai ascoltato nulla.

2 commenti:

Anonimo ha detto...

“Perché amiamo? Non è strano che per qualcuno esista al mondo un solo altro essere, un solo pensiero, un solo desiderio? E che sulla bocca ci sia un nome solo: un nome che viene di continuo alle labbra, un nome che ne prorompe come l’acqua da una sorgente, che sale dalle profondità dell’anima e vien detto, ripetuto, mormorato ininterrottamente, dovunque, come una preghiera?”
G. D. M

Cangaceiro ha detto...

Perchè amiamo? Se lo chiedono da anni tutti questo caro/a anonimo/a. Se lo chiedono i poeti, gli scrittori, e adesso i cantanti.
Ti rispondo per quello che riguarda me. Io Amo perchè in fondo mi sento incompleto senza una persona da amare, perchè l'amore mi fa sentire vivo. E' la sveglia mattutina che mi smuove dal letto e mi dice: "Alzati e vai!" Mi regala emozioni, belle e brutte che siano, che mi fanno sentire un ingranaggio di un meccanismo ben più complicato. La tristezza vera la provo invece quando non sono innamorato, quando non ho occhi da cercare, quando non ho visi da sognare.
E se poi sulla bocca abbiamo solo quel nome, vuol dire che solo quel nome, in quel momento, in quel luogo, merita di essere ricordato perchè è l'amore che ci fa sopravviere quando la vita si fa dura.